Racconti

 Racconto dello scrittore Giuseppe MUROLO

Arte e critica d’arte    (racconto)

           Qualche tempo fa un mio conoscente ricevette l’invito a visitare una mostra d’arte: mosaici, vetrofusioni, vetrate. Non si era mai interessato molto di arte; ma la mostra era virtuale, era semplice raggiungerla, ci andò.

            All’indirizzo indicato https://luciano-romualdo.webnode.it trovò un bel portone azzurro recante la scritta: “accedi”.

           Chissà perché, pensò che un palazzo con un simile accesso doveva essere fatato.

          Fu invitato a firmare il registro dei visitatori, con la raccomandazione di scrivere le lettere iniziali di nome e cognome in minuscole (le minuscole sono di rigore, in questi siti); e lui scrisse: “visitatore @comune”.

           Ci fu qualche ritardo nella registrazione, non era mai accaduto che un visitatore di quel sito si qualificasse “comune”; sembra inoltre che i nome e cognome sopra detti, benché esatti, fossero sbagliati; fu invitato a ripetere la procedura che infine fu accettata, benché con riluttanza; infatti apparve la scritta, ambigua: “Se ne vedono di tutti i colori”.

           Il nostro visitatore entrò, la mostra dell’artista Luciano Romualdo si trovava in un corridoio verticale dal quale, una sull’altra, prendevano accesso diverse sale, ciascuna col suo cartello.

           Entrò nella penultima contando dal basso, che gli sembrò quella a lui più consona: Dostoewskij insegna, l’umiltà (e umiliazione) massima non sta nell’ultimo gradino, che è già una distinzione, ma nel penultimo.

           Sul cartello di quella sala c’era scritto: “Mosaici”.

           Cominciò a osservare le opere esposte, una per una.

           La cosa che più l’affascinò furono i colori, specialmente certi azzurri, che gli ispirarono una pace interiore sconosciuta, pur essendo in forte contrasto con le altre forme, figure e rilievi, che si torcevano disperatamente in cerca di qualcosa che tuttavia non intendevano rivelare, e forse ignoravano.

           Avrebbe voluto un aiuto, per capire.

           Come se il dio greco dei viandanti (Hermes ?) l’avesse sentito, vide che a ciascuna di quattro opere si accompagnava  una nota specifica firmata dal critico Salvi Rocchi.

           Il visitatore@comune avrebbe voluto saper qualcosa di più su quel critico, ma niente: i palazzi incantati sono avari di informazioni.

           L’opera che maggiormente l’aveva attratto, fin dall’inizio, era intitolata: Esasperatismo e fuoriuscite possibili.

           Era un lavoro veramente impressionante; come il titolo, che peraltro sembrava alludere a una via di uscita, di salvezza; ma “fuoriuscite” voleva poi significare proprio quello?

           Lesse la nota.

           Intanto c’era una descrizione, una sorta di mappatura geografica della composizione, di grande aiuto per lui, che era un visitatore comune di nome e di fatto:…… al centro si apre un incavo di forma ovale contornato da una superficie ble scura, fredda, statica, che verso l’angolo superiore a destra si stempera, una piccola sfera scura rinvia all’ovale scuro nell’angolo opposto, creando una corrispondenza ambiguamente minacciosa. Contro questo cromatismo nichilistico si apre l’ovale superiore di un bidone, che, però, inibisce contenitore e contenuto, come se negasse una memoria storica opprimente e nauseante. Questa figura ovale mostra una superficie con colori caldi chiari e aperti al futuro in modo disteso, ma senza facili illusioni, anzi con la incombente minaccia di tre stridenti figure scure, due ricurve e una appuntita, orribili emersioni dal fondo nascosto del bidone.

 ……………….

           “Bravo critico” pensò. “Mi ha aiutato ad analizzare l’opera, scoprirne i dettagli, direi a indagarne la struttura; e poi me ne offre un’interpretazione, l’indicazione di quello che l’artista ha inteso significare e comunicare, e forse benché indirettamente anche una visione del mondo.

           Quelle punte minacciose, certo, mi hanno comunicato un’angoscia dalla quale non so uscire, neppure con l’ipotizzata apertura a un futuro disteso; forse perché la fuoriuscita cui allude il titolo non si riferisce alla possibilità di un superamento, ma –perché no?- alla fuoriuscita delle viscere da un ventre, lacerato dalla nobile spada del harakiri. L’artista forse ci vuole avvertire che da quell’angoscia si esce solo col darsi la morte.”

           Il visitatore@comune restò lì, davanti a quell’esasperatismo, profondamente

 turbato, e perplesso.

           “Come mai è possibile interpretare in maniere tanto divergenti un’opera d’arte? Probabilmente sono io che non sono all’altezza.

           Però…però allora mi devo chiedere: a chi è destinata l’opera d’arte? Ai competenti, esperti, addetti ai lavori? Oppure all’umanità?”

           Qui gli sembrò che la risposta possibile fosse una sola, l’arte destinata a una cerchia ristretta di esperti gli ripugnava.

           Si ricordò così di un suo amico, musicista (in fieri) studente al Conservatorio .

           Anche di musica il nostro visitatore si occupava poco; e quando aveva tentato di farsi spiegare cosa significasse la sonata per pianoforte opera 111 di Beethoven, l’amico inopinatamente si era arrabbiato, e aveva risposto che la musica si esprime per suoni, non per parole, e che se Beethoven avesse voluto esprimersi con parole non avrebbe scritto una sonata, ma una poesia.

           Qui si era arrabbiato lui.

           “ Una poesia? Perché, la poesia non ha la stessa indeterminatezza?

 Forse non volevi dire poesia, ma saggio critico.”

           La discussione era andata per le lunghe.

           Alla fine però si erano trovati d’accordo almeno su questo: l’essere umano è un tutto, unitario sotto il profilo vitale e funzionale, non analizzabile come una somma delle sue facoltà: l’intelligenza, i sentimenti, l’intuizione, la memoria, l’immaginazione, la passione, gli istinti, nonché le facoltà latenti, poco esplorate perché raramente affioranti, ma palesi nel  vate dell’antichità greca e romana, e nel poeta ( artista) ispirato del Timeo platonico, mero strumento e voce del nume, che di lui si serve per parlare agli umani.

           E si erano detti, quel mio conoscente e il suo amico studente: “Posto difronte all’opera d’arte il critico cosa fa? Ignora quella unitarietà inscindibile, e utilizza solo l’intelligenza per compiere un’ordinata, comprensibile e logica esposizione dei risultati ai quali è giunta la sua ermeneutica.”

           Di fronte all’Esasperatismo il visitatore@comune pensò: “ Già. Esprimendo in questo modo la sua sensibilità ricettiva il critico opera una forma di vivisezione, asportando chirurgicamente da sé la sua restante, mutilata unitarietà originaria; come chi per scoprire il mistero della dolcezza che riluce nello sguardo di una gazzella ne anatomizzasse gli occhi, uccidendoli.”

           Stava per allontanarsi, ma ci ripensò.

           Tornò davanti all’Esasperatismo e fuoriuscite possibili.

           “Però, senza il critico io di questa opera non avrei capito niente; mi sarebbe mancata la partenza. Forse il suo compito, necessario anche se … vivisezionante, è quello di guidare l’uomo comune che io sono fino alla soglia del labirinto.

           Giunti là, senza neppure salutarti, se ne va.

           Tocca poi a te, se vuoi, procedere oltre; da solo.”

           Nei labirinti, si sa, è l’uscita che è difficile; e a volte addirittura manca.

           La porta d’ingresso, invece, è sempre spalancata.

           “Che fai?” si chiese.

           “Entri?”